Post aggiornato al 21 settembre 2025
Lavorando con lo psicologo
Jean Piaget, Papert era rimasto
impressionato dal suo modo di considerare i bambini come attivi costruttori
delle proprie strutture intellettuali, ma secondo il matematico dire che le
strutture intellettuali sono elaborate da colui che apprende, piuttosto che
inculcate da colui che insegna, non significa che esse si sviluppino dal nulla.
Al contrario, come ogni costruttore, il bambino si appropria dei materiali che trova attorno a sé, per usarli a modo suo e soprattutto dei modelli e delle
metafore proposte dalla cultura circostante.
Piaget descrive l’ordine in cui il bambino sviluppa le diverse abilità intellettuali, mentre Papert
dà più peso al ruolo che hanno i materiali di una particolare cultura nella
determinazione di questo ordine.
Papert scrive:
- In generale, la teoria di Piaget presenta lo sviluppo intellettuale diviso in tre grandi epoche, che (per coincidenza o no) corrispondono approssimativamente ai tre principali
periodi del calendario della vita così come è previsto dalla scuola. La prima epoca, definita come “stadio sensomotorio” corrisponde grosso modo al periodo prescolastico. Si tratta di un periodo di prelogica
in cui i bambini reagiscono alla loro situazione immediata. La seconda epoca, che Piaget chiama “stadio delle operazioni
concrete”, corrispondente grosso modo agli anni della scuola elementare. Questo è un periodo di
logica concreta in cui il pensiero va molto al di là della situazione
immediata, ma non opera ancora attraverso l’uso di principi universali. [...] Ecco infine lo “stadio formale” che copre la scuola superiore...e il resto della vita. Ora finalmente il pensiero viene guidato e disciplinato, mediante i
principi della logica, la deduzione, l’induzione e mediante il principio dello
sviluppo teorico basato sul ricorso al test della verifica e della confutazione
empirica. -
Papert stravolge gli stadi di Piaget sostenendo che
l’elaboratore può rendere concreto (e personale) il formale, il bambino anche
di età prescolare padroneggia la
macchina essendo lui a programmarlo.
Programmare un elaboratore non significa altro che
comunicare con esso in un linguaggio, che sia esso, che chi lo usa, possono
“comprendere”. E Imparare i linguaggi
è una delle cose che i bambini fanno meglio: impadronirsi del linguaggio di un
elaboratore non è più simile al difficile processo di apprendimento di una
lingua straniera scritta che a quello facile di imparare a parlare la propria
lingua.
Continua sul Blog: Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 2
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Fonti:
- Papert Seymour, I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994.
- Papert Seymour, Mindstorms. Bambini computers e creatività, Emme, Milano 1984.