lunedì 29 luglio 2013

Che cosa si intende per software didattico per l’infanzia

Aggiornato al 7 gennaio 2023

Per software didattico, nella sua accezione più ampia, si intende un prodotto digitale progettato con intenti educativi-didattici per presentare certi contenuti culturali. Il software didattico è uno strumento per l’insegnante ma anche per il singolo per l’autoapprendimento.

I giochi proposti dal software creato a scopo didattico per l’infanzia, oltre ad avere un ambiente organizzato culturalmente, è dinamico, a volte anche cognitivamente complesso e sono capaci di essere anche attraenti da un punto di vista sensoriale con sviluppi videografici che fanno muovere l’occhio, sollecitando le associazioni analogiche.

Il software didattico per l’infanzia, ha diverse potenzialità che, se opportunamente sfruttate, consentono di perseguire molti obiettivi nel campo educativo e degli apprendimenti:
  • L’interazione consente al bambino di assumere un ruolo attivo: i software didattici stimolano il bambino a compiere scelte e ad agire attivamente, sollecitano l’analisi critica delle situazioni proposte e favoriscono la comprensione delle relazioni causali.
  • Le procedure di accesso all'utilizzo del software permettono, se gestite dal bambino, di memorizzare sequenze procedurali di diversa complessità.
  • L'eventuale utilizzo dei sistemi di input (tastiera e mouse) ed output (monitor) esercitano e perfezionano la manualità e favoriscono un miglior coordinamento visuo-motorio.
  • La possibilità di utilizzare il computer ha generalmente un alto valore motivante che può supportare ogni tipo di apprendimento, esercizio o verifica. 

La scelta di un software deve perciò prendere in considerazione un numero considerevole di variabili che vanno dall’età del bambino alle sue abilità motorie e cognitive, il tutto in funzione di un preciso progetto didattico; diventa allora importante analizzare e valutare il software che si intende utilizzare. Si tenta così di identificare alcuni criteri da tenere presenti nello scegliere il software in modo da poter individuare quello che, per le sue caratteristiche intrinseche, riesca a rispondere a degli obiettivi in modo da cogliere le condizioni d’impiego che, se predisposte, possono ottimizzare le peculiarità del software e riuscire ad avere tutto ciò che può dare nel processo di apprendimento.


Approfondimenti dal Blog:

Approfondimenti dal Web:



Fonti:
  • Antonietti A.  - Che software scelgo?, Scuola Materna, articolo webdel 2001
  • Antonietti A./Cantoia M. - Imparare con il computer. Come costruire contesti di apprendimento per il software, Erickson, Trento 2001
  • Sagazio Antonella - Software didattici, INDIRE 2012
  • Infante Carlo - Imparare giocando. Interattività tra teatro e ipermedia, Bollati Boringhieri, Torino 2000
  • Sassi Cristina - Software didattici. Come superare la  barriera del mouse, articolo su www.leonardoausili.com
  • Spinetta Rossella - La mia casa: l’apprendimento del bambino giocando con i software didattici, Tesi 2004

mercoledì 24 luglio 2013

L’ambiente educativo multimediale

Nel post “Gioco quindi sono”, ho accennato di come il gioco sia il luogo ideale della simulazione e della libera sensorialità e di come sia plausibile estendere questa potenzialità nell'ambiente digitale.

Il sistema educativo deve quindi contemplare la rete come un mondo, e concepire che “dentro” può accadere socialità, interscambio, interrelazione, vita.
L’ambiente telematico diventa così come un luogo di comunicazione e scambio reali, di nuova relazione produttiva e sociale e visto come ambiente educativo “a tutto campo”. In questo senso è importante procedere sperimentando il rapporto che c’è tra educazione e gioco, inventando attraverso la telematica, dei veri e propri giochi da condividere nel Web, cioè nuove forme di cooperazione educativa e condivisione coniugata a creatività.
In un ambiente multimediale ci si educa fondamentalmente per auto-apprendimento misurandosi con le potenzialità di nuova comunicazione e lanciando il concetto di navigazione interattiva, cioè la personalizzazione del percorso , l’autonomia della scelta.
Il punto sta nel mettere in relazione la spinta ludica del navigare infantile con la strategia educativa che inserisca questi approcci in una continuità didattica, secondo una linea di iniziativa che si può definire come ”EDUTAINMENT”.

L’edutainment è un concetto che trova la sua radice etimologica nel rapporto che c’è tra educazione e gioco, educational (ciò che è educativo) e entertainment (ciò che è intrattenimento, spettacolo, gioco).
In INTERNET, questo concetto si dimostra all'interno di siti educativi, con le più diverse applicazioni ludiche concepite proprio come giochi online che invitano alla partecipazione attiva. Le nuove generazioni riescono a entrare in stretta relazione con il sistema multimediale attraverso la sensorialità.

Giocare per non essere giocati
Da sempre l’uomo si inventa qualcosa per portare fuori dal proprio corpo-mente il suo pensiero, in modo da poter potenziare la sua capacità di elaborazione delle informazioni.
Tutto ciò è favorito dai nuovi media interattivi, con il computer si possono realmente simulare le dinamiche associative del nostro cervello; ma è chiaro che emerge il rischio di arrivare a quella condizione che ci fa astrarre a tal punto da perdere il contatto con la realtà che ci circonda.
Una delle scommesse più importanti, è perciò quella di affrontare il problema dell’ambientamento, ovvero quello di far interagire con precisa consapevolezza il bambino per apprendere e giocare. Il bambino non si deve “perdere” dentro il computer, è evidente, ma deve trovarsi nell’agire con e nel computer.
In uno scenario digitale pieno di informazioni, testuali o iconiche, questo “trovarsi” si traduce con la capacità di orientarsi e saper selezionare informazioni, altrimenti si rischia di soccombere alla sbornia da sovra-informazione.

Fonti:
  • Infante Carlo - Imparare giocando. Interattività tra teatro e ipermedia, Bollati Boringhieri, Torino 2000
  • Infante Carlo - Edutainment: educare giocando con i bit, articolo su www.aib.it
  • Infante Carlo - La rete come ambiente creativo, articolo su www.teatron.org

sabato 20 luglio 2013

Il computer oggi : lo scatolone giocoso

Post aggiornato al 23 agosto 2023

- Il computer di oggi, quello multimediale, ha una natura ludica: suona, fa scorrere immagini, consente di creare mondi come se si plasmasse dell’argilla fatta di bit (è quella che viene chiamata manipolazione cognitiva), si trasforma in un teatrino, oppure in un telefono, e ancora in un bosco da esplorare. È così giocoso, il computer, che i bambini riescono ad adattarvisi in modo naturale. A volte restiamo impressionati dalle capacità di un piccolo di 3 o 4 anni di muovere il mouse ed entrare in sintonia con le macchine. E tutto ciò nonostante la assoluta inadeguatezza di dispositivi come tastiera e mouse, interfacce estremamente innaturali - (Gasparetti M, 1998)

Imparare a giocare con il computer significa anche saperlo accendere, utilizzare almeno le funzioni elementari di Windows e prendere dimestichezza con il mouse e la tastiera; questo bambino da adulto non sarà mai completamente spiazzato di fronte a un terminale: si impara ad usare e a comprendere un determinato codice, un linguaggio, a mettere a frutto le capacità deduttive, ad affinare i riflessi e la coordinazione mano-occhio. Inoltre si impara ad usare la propria immaginazione, elemento indispensabile della creatività adulta.


Un gesto antico: il mouse

- Il gesto ampio di un bimbo che traccia un cerchio nell'aria significa “disegno”. È un gesto antico, un segno universale che, più o meno intorno ai 2 anni, tracciano i bambini di tutto il mondo, senza distinzione di razza o tribù. Gesti che lasciano la traccia del dito nella sabbia, del pennarello sul foglio, del mouse sullo schermo.
Con questo piccolo aggeggio si rivoluzionò il rapporto tra gli uomini e gli elaboratori elettronici, entrando così nel mondo dell’interattività con gesti semplici come quelli di un bimbo piccolo: fare “clic” con un puntatore sopra disegnini (icone) posizionati sullo schermo (interfaccia grafica), attraverso i quali avvengono le comunicazioni tra il computer e l’utente - (Benvenuti P., 1999)

Il primo approccio: programmi di “paint”

- I primi programmi che il bambino di 3-4 anni è in grado di utilizzare su un personal computer, forse perché intimamente riferibili proprio a quei “gesti antichi”, sono quelli che servono per disegnare. Con il mouse, dunque, il bimbo piccolo traccia istintivamente dei segni e verifica sullo schermo, in un programma disegno, gli effetti di ogni suo gesto, esattamente come sulla carta sa riconoscere il segno che traccia con la matita, il pennarello, il dito intinto nel colore. Il mouse però gli consente di agire in un modo particolare: può cambiare strumento, “andare a prendere” sullo schermo un altro colore, una punta diversa, prendere il cerchio, il rettangolo, la linea dritta o curva, per disegnare cerchi, rettangoli, linee dritte o curve - (Benvenuti P., 1999)



Il programma Paint permette di disegnare le prime figure geometriche


Approfondimenti dal Blog:


Fonti:
  • Benvenuti Paolo, Come usare il computer con bambini e ragazzi, Sonda, Torino 1999
  • Gasparetti Marco, Computer e scuola. Guida all'insegnamento con le nuove tecnologie, Apogeo 1998
  • Spinetta Rossella, La mia casa: l’apprendimento del bambino giocando con i software didattici, Tesi 2004

mercoledì 17 luglio 2013

Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 2

Post aggiornato al 23 novembre 2016
 
Il matematico Seymour Papert si prefiggeva di imparare a costruire elaboratori con i quali i bambini amavano comunicare in modo da poter essere considerato un processo naturale, molto più simile all'imparare una lingua, e a cambiare il modo di apprendere processi e procedure, per forma, velocità e qualità, in sintonia con la loro percezione di ciò che è importante. Quando un bambino impara a programmare, il processo di apprendimento è trasformato; diventa più attivo e autonomo. In particolare, la conoscenza è acquisita per uno scopo riconoscibile, e si da così un senso a ciò che si vuole imparare.

Da qui nasceva “LOGO”, un programma per lo studio della matematica concepito per gli alunni delle elementari e impostato sull'idea che deve essere il bambino ad usare il computer e non viceversa.
Uno degli esperimenti condotti da Papert con Logo è stato quello di far realizzare dei videogiochi direttamente ai bambini, facendoli partecipare attivamente alla conoscenza.

Logo è un linguaggio di programmazione molto versatile ma anche molto accessibile, con cui inizialmente si lavorava in un semplicissimo ambiente grafico: un micromondo in cui si fa muovere una “Tartaruga” rappresentata su uno schermo da un triangolino, costruendo con le tracce dei suoi movimenti dei percorsi, dei disegni, che sono peraltro basati su relazioni geometriche la cui conoscenza viene così a sua volta costruita.




Linguaggio Logo di S. Papert - il "triangolo Tartaruga"


I bambini possono così identificarsi con la Tartaruga e ricorrere quindi alla conoscenza che hanno del loro corpo e del suo movimento nell'affrontare la geometria formale.


In un’intervista del 1994 Papert parlava di micromondi in forma di gioco:

«Stiamo programmando sistemi di computer per bambini piccoli, ma molto piccoli, dai due ai tre anni. Stiamo per realizzare un sistema di programmazione che permetta ai bambini di quell'età di iniziare a fare delle cose, che si evolvano con continuità in altre cose. […] Penso che ora, con nuove idee e soprattutto con computer più potenti, potendo inserire un maggiore supporto nel sistema, sia realmente possibile che un bambino piccolissimo possa iniziare a costruire piccoli micromondi e metterli insieme.

[…] Vediamo bambini di tre anni usare facilmente programmi di disegno. Dipingono una scena e vi collocano oggetti, ma i programmi più diffusi non permettono una vera animazione dell'oggetto. Potremmo avere un discreto sistema-prototipo funzionante, che consenta di ai bambini di mettere oggetti animati in una scena; ad esempio, tu fai una scena e ci piazzi un cane che corre o un uccello che vola -- questo è facilissimo -- dopodiché puoi stabilirne le interazioni con gli altri oggetti e controllarne i movimenti, e ancora modificarli. E vediamo che costruendo scene animate un bambino può creare una storia. Crediamo che anche un bambino in giovanissima età potrebbe creare storie animate, dove qualcosa accade

Poi forse una direzione in cui proseguire è di rendere il sistema più interattivo […]

Penso che l'essenza della vita intellettuale di un bambino stia nell'immaginazione, nell'avventura, nella fantasia. Il bambino si inventa modi di comprendere il mondo, è interessato alle storie, e quando fa un disegno non ci preoccupiamo che il risultato sia realistico […] La cosa importante non è la rappresentazione accurata della realtà, ma è fare qualcosa che abbia una coerenza interna, che abbia senso e che mostri la qualità dell'immaginazione. Sembra abbastanza strano, è vero, ma in questo modo il bambino acquisisce il senso di come rapportarsi con la realtà, perché per far funzionare il sistema deve accettare la sua meta-realtà. Se vuoi che il computer crei il tuo mondo di fantasia, devi accettare la realtà di ciò che il computer può fare. Questo non significa, comunque, che il reale debba trovarsi dentro il mondo della fantasia.»


Approfondimenti sul Blog:

Approfondimenti sul Web:

Fonti:
  • Giordani Elena, Bambini e computer: imparare ad insegnare. Articolo preso dal Web ma non più attivo
  • Papert Seymour, I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994
  • Papert Seymour, Mindstorms. Bambini computers e creatività, Emme, Milano 1984
  • Pasini E. / Viola F., Teoria unificata dell'apprendimento, intervista a Seymour Papert

lunedì 15 luglio 2013

Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 1

Post aggiornato al 23 novembre 2016
 
Nei primi anni ’80, uno dei precursori a sostenere la possibilità di sfruttare la capacità del computer in modo da rendere la conoscenza attiva, portando i bambini a creare le applicazioni di quello che hanno appreso, fu Seymour Papert, matematico di origine sudafricana che fondò insieme a Marvin Minsky il Laboratorio di Intelligenza Artificiale del Mit di Boston. Papert è partito dalla matematica per capire come i bambini imparano a pensare e come può cambiare l’apprendimento grazie al computer.

Lavorando con lo psicologo Jean Piaget, Papert era rimasto impressionato dal suo modo di considerare i bambini come attivi costruttori delle proprie strutture intellettuali, ma secondo il matematico, dire che le strutture intellettuali sono elaborate da colui che apprende, piuttosto che inculcate da colui che insegna, non significa che esse si sviluppino dal nulla. Al contrario, come ogni costruttore, il bambino si appropria, per usarli a modo suo, dei materiali che trova attorno a sé, e soprattutto dei modelli e delle metafore proposte dalla cultura circostante.
Piaget descrive inoltre l’ordine in cui il bambino sviluppa diverse abilità intellettuali, mentre Papert dà più peso al ruolo che hanno i materiali di una particolare cultura nella determinazione di questo ordine. Lo psicologo presenta lo sviluppo intellettuale diviso in 3 “stadi”, che corrispondono approssimativamente ai tre principali periodi del calendario della vita così come è previsto dalla scuola. Il primo è definito come “stadio sensomotorio” che corrisponde al periodo prescolastico; si tratta di un periodo di prelogica in cui i bambini reagiscono alla loro situazione immediata. Il secondo Piaget lo chiama “stadio delle operazioni concrete”, corrispondente agli anni della scuola elementare, un periodo di logica concreta in cui il pensiero va molto al di là della situazione immediata, ma non opera ancora attraverso l’uso di principi universali. Il terzo periodo è detto “stadio formale” dai 12 anni in poi, dove il pensiero viene guidato e disciplinato, mediante i principi della logica, la deduzione, l’induzione e mediante il principio dello sviluppo teorico basato sul ricorso al test della verifica e della confutazione empirica. Papert stravolge i 3 stadi e di Piaget sostenendo invece che l’elaboratore può rendere concreto (e personale) il formale, il bambino anche di età prescolare padroneggia la macchina essendo lui a programmarlo.

Programmare un elaboratore non significa altro che comunicare con esso in un linguaggio che sia esso che chi lo usa possono “comprendere”. E Imparare i linguaggi è una delle cose che i bambini fanno meglio: impadronirsi del linguaggio di un elaboratore non è più simile al difficile processo di apprendimento di una lingua straniera scritta che a quello facile di imparare a parlare la propria lingua.

Continua sul Blog: Perché il computer ai bambini: i primi elaboratori - Parte 2

Fonti:
  • Papert Seymour, I bambini e il computer, Rizzoli, Milano 1994.
  • Papert Seymour, Mindstorms. Bambini computers e creatività, Emme, Milano 1984.

venerdì 12 luglio 2013

Gioco quindi sono

Post aggiornato al 23 agosto 2023


L'uomo è completamente uomo solo quando gioca.

- Provate ad  andare a rileggere i manuali di filosofia e di storia dell’educazione, rimarrete sorpresi della presenza del gioco nell’educazione. Ne discutevano i Presocratici, ne parlava Platone, convinto della sua importanza, e Aristotele. Lo consigliava Quintiliano e anche nei secoli bui del primo Medioevo, l’attività ludica veniva guardata con grande interesse, e poi nel Rinascimento con Filippo Neri nel suo oratorio, molto orientato agli interessi dei bambini e quindi al gioco. Per arrivare, saltando secoli e dimenticando decine di grandi pensatori, fino a Johan Huizinga che, con Homo ludens, dimostrò che l’uomo è un animale giocoso e che tutto il suo mondo ha carattere ludico.
Giocare quindi per essere, per mettere a frutto le proprie potenzialità in un ambiente privo dai rischi del reale.
Molti etologi hanno studiato l’importanza del gioco nei primati. Per anni hanno osservato il comportamento dei gorilla e si sono accorti che i cuccioli incapaci o impossibilitati a giocare restano immaturi e da adulti non sono capaci di affrontare le insidie della natura. Quindi sono destinati a morire. Il gioco diventa così una sorta di allenamento, di prova generale per affrontare la realtà.
L’uomo non si discosta molto da questo modello di apprendimento naturale - (Gasparetti M., 1998)

Gioco e apprendimento sono quindi strettamente intrecciati: giocare è utile sia per fare esperienze aspecifiche, cioè per promuovere la maturazione delle funzioni cognitive, sia per compiere apprendimenti specifici, cioè per imparare nozioni, concetti, strategie in modo ludico senza fatica.


Apprendere giocando
Giocare apprendendo e apprendere giocando, nonché giocare per apprendere o apprendere per giocare sottendono, comunque, un processo di conoscenza.
Il gioco facilita l’apprendimento di concetti e relazioni complesse quando predispone il soggetto a sperimentare, ad esempio attraverso la simulazione, quanto li costruisce e costituisce. Inoltre l’attività ludica consente di valutare le conseguenze legate a prestazioni e decisioni, verificandone i risultati che, anche se fuorvianti, non producono concreti effetti negativi sulla persona; tale processo comporta costantemente uno sviluppo di tipo formativo.

Quindi, giocando si apprende a conoscere gli oggetti, il movimento, l’uso del linguaggio, i processi d’integrazione logico-cognitiva, ma anche il corpo, l’affettività, e l’emotività, la propria crescita globale, nonché gli altri e l’evoluzione del rapporto interpersonale: giocando si forma l’universo dentro e fuori di sé.
Si può quindi proporre una didattica della “ludicità”: con questo termine, non si vuole comprendere solamente ciò che includono dinamiche e processi di gioco, strettamente inteso, ma ludicità come connaturale all'uomo, in quanto comportamento o/e atteggiamento nei confronti di sé, degli altri, del mondo, che è tanto formativa, quanto didatticamente orientabile.

La dimensione ludica, dunque, è da sempre rappresenta come forma più spontanea di relazione interumana: attraverso quest’interazione ci si misura con lo spazio e il tempo imparando a condividerlo.
Se il gioco è il luogo ideale della simulazione e della libera sensorialità, è quindi plausibile estendere questa potenzialità nell'ambiente artificiale dell’ipermedia, dove iniziamo a dimensionarci in un nuovo spazio-tempo, quello digitale.


Approfondimento dal Blog:
Il computer oggi : lo scatolone giocoso


Fonti:
  • Gasparetti Marco, Computer e scuola. Guida all'insegnamento con le nuove tecnologie, Apogeo 1998
  • Infante Carlo, Imparare giocando. Interattività tra teatro e ipermedia, Bollati Boringhieri, Torino 2000
  • Kaiser Anna, Genius ludi: il gioco nella formazione umana, Armando Editore, Roma 1995
  • Oliverio Alberto, L'arte di imparare. A scuola e dopo, BUR, Milano 2001 
  • Schiller Friedrich, Lettere sull'educazione estetica dell'uomo. Callia o della bellezza, Armando Editore, 2002

mercoledì 10 luglio 2013

Una breve introduzione...perché nasce questo blog

Post aggiornato al 30 novembre 2023

Nasce da una forte esigenza di continuare una ricerca originata da una Tesi di laurea sperimentale iniziata nel 2001 come designer di software didattici per l’infanzia, e continua oggi come Istructional Designer, con l'approfondimento verso la didattica digitale unito all'apprendimento inclusivo.

Nel corso degli anni, ho avuto l’occasione di acquisire nuovi modi di concepire l’utilizzo del computer con i bambini volgendo l’interesse verso un suo uso più ludico, ma al tempo stesso didattico. L’interazione avuta con più figure professionali quali pedagogisti, sociologi, informatici, professori universitari, educatori ed animatori, mi ha permesso un approccio multidisciplinare al mondo digitale, unendo la cultura umanistica a quella scientifica.


Si può parlare di cultura tecnologica?

Per parlare di cultura tecnologica bisogna partire dall’educazione alla tecnologia con strumenti che presentano esclusivamente techne come comunicazione di informazioni. Educazione come ex-ducere (trarre fuori), per favorire un processo di crescita attraverso il gioco, l’esplorazione, la curiosità, l’osservazione, l’immaginazione, il ragionamento e lo spirito critico, non mancando di un equilibrato sviluppo emozionale affettivo relazionale. Un’educazione alla tecnologia in cui anche bambini molto piccoli sono sempre più attivi e creatori nell'ambiente multimediale se si “parla” con il loro stesso “linguaggio”.


A distanza di 10 anni questo blog è diventato il mio T.E.C. (Teacher Educator Corner), un modo di fare didattica ed educazione all'informatica, alla comunicazione e alle tecnologie con un nuovo senso estetico.


Approfondimenti dal Blog:



Fonti:
Mariani A., Cambi F., Giosi M., Sarsini D., Pedagogia generale. Identità, percorsi, funzioni, Roma, Carocci, 2017.