venerdì 21 marzo 2014

La mia esperienza di giudice alla FLL

Quando mi è stato chiesto di far parte della Giuria per le Qualificazioni Interregionali della First Lego League Italia (FLL) a Cuneo, ero appena entrata nel Gruppo di Scuola di Robotica ed avevo avuto occasione di vedere solo pochi laboratori su bambini e robot.

Colta dall'entusiasmo mi sono chiesta: “Ma che cosa è la FLL?
Sono andata subito a cercare su internet per capire di cosa si trattasse:

 […] E’ un vero e proprio campionato a squadre, tra giovani ragazzi che progettano, costruiscono e programmano robot autonomi. Ogni team è composto da non più di dieci ragazzi, tra i nove e i sedici anni e almeno un tutor adulto […] 
dal sito ufficiale


“Come potevo valutare i ragazzi con le mie nuove e poche conoscenze?”
La riunione con il Gruppo ha reso tutto più chiaro, mi avevano assegnato la Giuria Core Values, dovevo osservare l’affiatamento della squadra durante lo svolgimento di una “prova al buio” al loro assegnata.

Il laboratorio consisteva nella costruzione in 9 minuti di una lanterna o di un “robot” (difficoltà data a seconda della composizione di età del gruppo), utilizzando un kit elettronico (LittleBits) che non avevano mai visto, elementi LEGO e materiali di recupero.
Stabilito così, modi e tempi della prova, il nostro dubbio era sulla comprensione e fattibilità di riuscita in così poco tempo. Per evitare qualsiasi disagio emotivo, abbiamo deciso di dire ai ragazzi che non era importane il risultato, ma la collaborazione di gruppo.


A valutare insieme a me le squadre ci sarebbe stata un’insegnante con esperienza su questo tipo di dinamiche.

I risultati sono stati al di sopra delle nostre aspettative, i ragazzi in così poco tempo:
  • Intuivano i pezzi occorrenti al funzionamento dell’oggetto da ideare.
  • Riuscivano a trovare le soluzioni più diverse a problemi di progetto lavorando in team.
  • L’età non aveva importanza, bambini di 9 anni davano indicazioni corrette ai più grandi.
  • Alcuni gruppi adempivano alla prova prima del tempo stabilito.
  • I gruppi che si divertivano di più, scoprivano più elementi e funzioni da combinare.
  •  

Una mia osservazione personale è stata la percezione del “design” visto dai ragazzi, non come estetica, ma come forma/funzione che non sempre questa era così immediata. Capitava, durante la progettazione, che il gruppo costruisse un oggetto piuttosto grande per unirlo alla parte meccanica del motorino di piccole dimensioni, con il risultato che il “robot” creato non aveva movimento visibile perché dovuto alla sua “pesantezza” e dovevano ricominciare da capo.


Questa esperienza è stata per me estremamente formativa, i ragazzi mi hanno dato tanto, ho imparato da loro e con loro.

Grazie...


Post pubblicato sul blog "L'uomo di latta"

Links utili:
· Fist Lego League Italia (FLL) - www.fll-italia.it
· Scuola di Robotica - www.scuoladirobotica.it

martedì 4 marzo 2014

L’aspetto strutturale del software didattico

Nel post “Tra App educative e didattiche, quale scegliere?” ho accennato alle dimensioni strutturali del software analogicità, interattività e libertà.

Vediamoli ora nello specifico, per ciascuna dimensione, potenzialità e limiti:

Analogicità
Si intende il grado con cui lo strumento didattico riproduce la realtà sotto diversi aspetti (visivo, verbale, iconico, sonoro). Il livello di analogicità che presenta uno strumento didattico dipende in parte dal numero di media (testi scritti, discorsi orali, filmati, musiche ecc.) che vengono impiegati (multimedialità) - e quindi dal numero di codici utilizzati (verbale, iconico ecc.) e dal numero di organi di senso coinvolti e stimolati (multi-sensorialità) - e in parte dal tipo di rapporto sussistente tra le rappresentazioni offerte e i corrispettivi oggetti reali.

Se tale dimensionalità varia in base alla presenza più o meno accentuata di elementi iconici e acustici e in base alla loro qualità (che dipenderà dalla grafica, e dal movimento), il ricorso intensivo a forme di rappresentazione e comunicazione analogica può presentare alcuni limiti:
  • Il bambino può rischiare di rimanere ancorato agli elementi percettivi della rappresentazione analogica e non riuscire a elaborarla in termini astratti.
  • Il bambino può essere eccessivamente incentivato a procedere in maniera intuitiva, diventando poco disponibile a seguire un modo di procedere sistematico.

Interattività
Riguarda il grado in cui il fruitore può entrare in rapporto con lo strumento didattico ed essere attivo nel processo di apprendimento. Alcuni programmi didattici richiedono la partecipazione del bambino che è chiamato, per esempio, a disegnare, manipolare immagini ecc. Altri invece favoriscono un atteggiamento più passivo: il bambino deve solo guardare o ascoltare. 

Al concetto di interattività è legato il principio di "feedback", cioè l'informazione di ritorno che dice all'utente il risultato della sua azione. Nel computer questa informazione è dato dal suono,
infatti un “clic” ci assicura che abbiamo premuto un tasto, e l’assenza di suoni può significare assenza di informazione, se il feedback di una certa azione ce lo aspettiamo per via uditiva, il silenzio può provocare difficoltà; entra in gioco così la “visibilità” delle azioni. I suoni devono essere generati in maniera intelligente, con una chiara comprensione del rapporto naturale che sussiste fra il suono e l’informazione trasmessa, questa relazione è molto visibile nei software didattici, infatti troviamo suoni piacevoli per indicare azioni giuste e suoni sgradevoli per quelle sbagliate oppure affermazioni negative o positive date dalla voce di un tutor.

L’interattività può però generare alcuni problemi:
  • Il bambino agisce senza pensare, poiché può essere tentato a provare in modo casuale le alternative a disposizione per verificarne di seguito l’adeguatezza o inadeguatezza; “smanetta” cioè con il computer senza poter essere consapevole di ciò che sta avvenendo.
  •  Il bambino compie azioni fisiche a cui non corrispondono azioni mentali. Alcune delle possibilità di interazione che il software permette potrebbero avere infatti soltanto significati emozionali e ludici, senza che si produca apprendimento. Oppure il software offre potenziali apprendimenti, ma il bambino non li recepisce perché il suo comportamento è guidato prevalentemente da meccanismi motori anziché da ragionamenti.
  • Il bambino fruisce soltanto degli aspetti esteriori degli ambienti navigati. L’interazione in questi casi, non coinvolge la struttura della rappresentazione offerta dal computer, ma opera superficialmente sui contenuti.
La manipolazione, può si portare a compiere delle scoperte, ma queste richiedono una rielaborazione cognitiva per essere pienamente apprezzate.



Libertà
E’ collegata alla possibilità che il bambino ha di “muoversi” all’interno del software. La libertà di movimento che viene permessa all’interno di percorso di apprendimento (aspetto cognitivo) ha un corrispettivo nella modalità di organizzazione, più o meno flessibile, delle informazioni trasmesse dallo strumento didattico (caratteristiche strutturali dello strumento).
Per quanto concerne le caratteristiche strutturali dello strumento didattico, i contenuti possono in genere presentare due organizzazioni:
  • ORGANIZZAZIONE LINEARE: in questo caso il bambino dovrà seguire una sequenza prestabilita, con una sua logica interna (ad esempio un filmato). La libertà sarà, allora, abbastanza limitata.
  • ORGANIZZAZIONE RETICOLARE: in questo caso il bambino potrà scegliere tra diverse opzioni il suo itinerario di apprendimento. Un rischio a cui si va incontro all’interno di strutture reticolari, che consentono un ampio raggio di libertà, è la possibilità di “fossilizzarsi” e utilizzare un unico stile di apprendimento. Il bambino si collocherà infatti sempre secondo il proprio stile di apprendimento, non sviluppando così quegli stili che gli sono meno congeniali e che potrebbero essere invece utili nell’affrontare compiti specifici che incontrerà nella sua esperienza formativa e nel rapporto con il reale. Un altro rischio, è quello di perdersi all’interno delle scelte e delle opzioni scomponendo le informazioni e perdendo così la possibilità di farle costruire in un contesto di riferimento più ampio. Bisogna quindi evitare che le informazioni possano diventare “pillole” di conoscenza slegate, senza filo conduttore.

Fonti:
  • Antonietti A.  Che software scelgo?, Scuola Materna, articolo web del 2001
  • Antonietti A./Cantoia M.  Imparare con il computer. Come costruire contesti di apprendimento per il software, Erickson, Trento 2001
  • Norman Donald A. – La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, Giunti editore. 1997
  • Spinetta Rossella – La mia casa: l’apprendimento del bambino giocando con i software didattici, Tesi 2004